Film prossimamente in sala per i quali non si è ancora certi delle date.

Anora

È una corsa vorticosa attraverso New York, Brooklyn, il quartiere di Brighton Beach, il luogo geografico, quest’ultimo, da esplorare, dove vediamo comparire la protagonista, Anora appunto, detta Ani (bravissima l’attrice Mikey Madison), una giovane donna ventitreenne, che vive proprio lì in un monolocale, insieme alla sorella.Per poter sopravvivere l’unico lavoro alla sua portata è fare la stripper, in un sex club a Manhattan, sette giorni su sette. Fa la sex worker.

V

Tutto cambia, quando una sera ha il compito di “intrattenere” un giovane rampollo, figlio di un ricco oligarca russo (e lei è l’unica a poter dialogare con lui, grazie ai ricordi della nonna uzbeka): si chiama Jurij. Non è un semplice scambio di piacere, il giovane ne viene talmente attratto, da proporle di essere la sua fidanzata per una settimana, tutto al prezzo di quindicimila dollari. Sembra fatta, da ogni punto punti di vista, qualcosa nasce anche tra i due, addirittura si sposano a Las Vegas. È la fine del “tirare avanti”, l’inizio di una vita diversa. Assolutamente no.

Fonte – Vogue

Parthenope

Prendendo ispirazione dalla leggenda della sirena da cui si dice ebbe origine la città di Napoli, Sorrentino immagina (e crea) una realtà in cui questa figura vive sotto le sembianze di una donna in carne ed ossa. Parthenope – a cui presta il volto una sorprendente Celeste Dalla Porta – nasce, come nel mito, dentro le acque di un mare (a Posillipo) con il quale manterrà sempre un legame profondo, atavico, indissolubile. La ragazza cresce e ammalia chiunque le graviti intorno, a partire dal fratello maggiore Raimondo (Daniele Rienzo): il rapporto tra i due sfiora i confini di ciò che potrebbe essere definito incesto, mantenendo però anche una purezza e un affetto tangibili. A chiudere una sorta di triangolo perfetto, l’amico Sandrino (Dario Aita), da sempre innamorato di Parthenope e soggiogato da questo incantesimo inarrestabile.

Fonte – CQItalia

Giurato numero 2

Savannah, Georgia. Il giornalista Justin Kemp (Nicholas Hoult) è un ex alcolista che non tocca un goccio di alcol da quattro anni. Ora vive con la moglie Ally (Zoey Deutch) da cui sta per avere un figlio. Viene convocato come giurato (il numero 2) in un processo per omicidio. James Sythe (Gabriel Basso), uomo dal passato criminale, è accusato di avere barbaramente ucciso un anno prima la compagna Kendall (Francesca Eastwood, figlia del regista), dopo una violenta discussione in un bar. Durante il processo Justin comincia a ricordare che la notte dell’omicidio si trovava nel bar in cui James e Kendall hanno litigato. Forse quella notte è stato proprio lui a investire inavvertitamente la ragazza sul bordo della strada? Tra gli altri giurati c’è un ex poliziotto (J.K. Simmons) che indaga contrariamente al regolamento processuale… L’avvocato dell’accusa è l’aspirante politica Faith Killebrew (Toni Collette). La difesa d’ufficio è del talentuoso Eric Resnick (Chris Messina). Cosa è successo davvero quella notte?

Fonte – Style.corriere

Eterno visionario

Michele Placido, giunto al suo quattordicesimo film, decide di raccontare il drammaturgo siciliano come non era stato mai “visto”, ovvero facendo del privato del protagonista il proscenio dove assurgono a vita e si giustificano le ossessioni e la poetica dei romanzi e delle piece teatrali. Invece che relegarlo a un riempitivo popolato da personaggi pensati come funzioni narrative o come semplice appendici del racconto, lo spazio famigliare prende vita attraverso una drammaturgia che di moglie e figli fa i veri teatranti all’interno del film. Placido ne dà legittimazione nell’immagine finale in cui la natura onirica del contesto, quando i familiari e Marta Abba – musa e attrice nella quale Pirandello trovò una platonica via di fuga ai propri tormenti esistenziali -, radunati attorno alla salma di Pirandello per un ultimo saluto, sembrano svelare la loro doppia natura, quella di esseri umani in carne e ossa e allo stesso tempo proiezioni fantasmatiche dei personaggi che hanno popolato le opere dello scrittore.

Fonte – OndaCinema

The Holdovers – Lezioni di vita

Il cinema di Alexander Payne, sempre in bilico tra commedia esistenziale e dramma intimista, trova nella scrittura dei personaggi, nelle loro psicologie, nella quadratura degli spazi e degli ambienti il punto di forza. The Holdovers – Lezioni di vita (ispirato al film del 1935 Vacanze in collegio di Marcel Pagnol), non solo non fa eccezione, ma si pone come una delle migliori e più ispirate opere del regista statunitense. Ambientato durante le vacanze natalizie del 1970 in un istituto scolastico privato per rampolli dell’alta borghesia, segue le vicende del professore di civiltà antica, Paul Hunham (Paul Giamatti, vincitore del Golden Globe), e di un gruppetto di studenti di varie età – tra questi il brioso e scapestrato Angus Tully (il debuttante Dominic Sessa) – impossibilitati a tornare a casa dalle famiglie. Insieme a loro la responsabile della mensa, Mary Lamb, in lutto per la prematura morte in guerra del figlio 20enne. Sono personaggi complessi, stratificati, segnati dalla vita. Il tono è brillante, pieno di humor e colmo di battute pungenti e sagaci, marchio di fabbrica del cinema verboso di Payne. Il film inizia con il campo lungo della scuola circondata dalla neve. Luogo di passaggio per eccellenza che, giocoforza, conduce alla vita adulta e alla scoperta di sé. Il coming of age, diventato ormai un vero e proprio (sotto)genere, con tutto il corollario di azioni e situazioni che portano alla crescita (sviluppato quasi sempre all’interno di un arco temporale ridotto), copre soltanto una porzione del racconto.

Il rapporto contrastante e conflittuale tra il professore integralista e il giovane Tully e il viaggio on the road dal New England a Boston – che cambierà la vita di entrambi – sta al centro del racconto, ma non è l’unico. Payne fa i conti con la storia e la politica. Rievoca il fantasma del Vietnam e riflette in controluce sulle sperequazioni sociali, sul classismo, la rabbia e il senso di frustrazione della working class (il figlio di Mary Lamb è chiamato alle armi perché impossibilitato a pagarsi il college). La malattia mentale, l’elaborazione del lutto e la solitudine sono temi che Payne tratta senza ingolfare e appesantire la storia, mantenendosi in perfetto equilibrio tra dramma e commedia. Paul Giamatti è bravissimo a dare corpo allo scorbutico (dal cuore d’oro) professore Hunham. La sua mimica e l’espressività sono ormai pienamente mature. Ma intensa è anche la performance di Da’Vine Randolph, mater lacrimarum, spezzata e resiliente. Il décor e la patina vintage rendono facile l’adesione e l’empatia. È un film semplice, emozionante, a tratti programmatico The Holdovers, e non dice nulla di nuovo. Riuscendo tuttavia ad essere contemporaneo e universale, rassicurante e non banale.

Fonte – spietati

Il robot selvaggio

Essere genitori: forse il compito più complicato al mondo. Non solo nel nostro, ma anche in un futuro prossimo in cui gli esseri umani vivono all’interno di serre, mentre gli animali hanno preso possesso della terra emersa. Per svolgere i compiti più disparati, la Universal Dynamics ha creato dei robot tuttofare, i ROZZUM. L’unità 7134 però ha un destino diverso da quello dei suoi simili fatti di circuiti e metallo: a causa di un nubifragio, si ritrova su un’isola dove non c’è nessuna persona a poterle dare dei compiti. Fino a quando una piccola oca non la riconosce come mamma: la sua missione ora è nutrirla, insegnargli a nuotare e infine a volare.

Fonte – Cinematografo

Napoli – New York

Napoli – New York è l’adattamento per il cinema – spiega il regista – di un dettagliatissimo soggetto, quasi un romanzo per immagini, scritto da Federico Fellini e Tullio Pinelli (sceneggiatore e storico partner dell’autore riminese) sul finire degli anni ’40 del secolo scorso. Allora Fellini era soltanto sceneggiatore e le sue storie servivano a nutrire la visione e la fantasia altrui (Lattuada, Germi, Rossellini). Non si andrà più in là del soggetto, come spesso capita nell’ambiente. Il manoscritto sparisce quasi immediatamente dai radar e se non fosse andata come è andata, un provvidenziale ritrovamento, non se ne sarebbe ricordato più nessuno. E invece no. Se ne è ricordato Salvatores e se ne è ricordato anche Pierfrancesco Favino, protagonista di Napoli-New York insieme ai bravissimi e giovanissimi Dea Lanzaro e Antonio Guerra, senza scordarci di Tomas AranaOmar Benson MillerAntonio CataniaAnna Lucia PierroAnna Ammirati.

È un on the road sui generis, una traversata oceanica e un racconto di formazione, è l’ombra del neorealismo e una favola che, specifica il regista, senza caricarsi di posizioni ideologiche parla alla nostra contemporaneità di italiani e anche al nostro passato.

Fonte – moviestruckers

La stanza accanto

La stanza accanto (presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia) racconta di due donne, amiche che non si vedono da tempo e si reincontrano perché una delle due ha un cancro incurabile. Condannata a morire nel giro di qualche mese, decide di anticipare la fine e fare da sé, per evitare il declino e morire come preferisce. Chiede a questa amica ritrovata di accompagnarla in una casa di montagna dove vivere qualche settimana e, quando lo riterrà opportuno, assumere un medicinale comprato illegalmente che la farà morire in tranquillità. La stanza accanto del titolo è quindi quella in cui dorme Julianne Moore, sapendo che dall’altra parte c’è la morte al lavoro, pronta a palesarsi in ogni momento (Tilda Swinton, per la sua sicurezza, non le dirà quando intende assumere la pillola, a un certo punto succederà).

Fonte – Wired