The Holdovers – Lezioni di vita

Il cinema di Alexander Payne, sempre in bilico tra commedia esistenziale e dramma intimista, trova nella scrittura dei personaggi, nelle loro psicologie, nella quadratura degli spazi e degli ambienti il punto di forza. The Holdovers – Lezioni di vita (ispirato al film del 1935 Vacanze in collegio di Marcel Pagnol), non solo non fa eccezione, ma si pone come una delle migliori e più ispirate opere del regista statunitense. Ambientato durante le vacanze natalizie del 1970 in un istituto scolastico privato per rampolli dell’alta borghesia, segue le vicende del professore di civiltà antica, Paul Hunham (Paul Giamatti, vincitore del Golden Globe), e di un gruppetto di studenti di varie età – tra questi il brioso e scapestrato Angus Tully (il debuttante Dominic Sessa) – impossibilitati a tornare a casa dalle famiglie. Insieme a loro la responsabile della mensa, Mary Lamb, in lutto per la prematura morte in guerra del figlio 20enne. Sono personaggi complessi, stratificati, segnati dalla vita. Il tono è brillante, pieno di humor e colmo di battute pungenti e sagaci, marchio di fabbrica del cinema verboso di Payne. Il film inizia con il campo lungo della scuola circondata dalla neve. Luogo di passaggio per eccellenza che, giocoforza, conduce alla vita adulta e alla scoperta di sé. Il coming of age, diventato ormai un vero e proprio (sotto)genere, con tutto il corollario di azioni e situazioni che portano alla crescita (sviluppato quasi sempre all’interno di un arco temporale ridotto), copre soltanto una porzione del racconto.

Il rapporto contrastante e conflittuale tra il professore integralista e il giovane Tully e il viaggio on the road dal New England a Boston – che cambierà la vita di entrambi – sta al centro del racconto, ma non è l’unico. Payne fa i conti con la storia e la politica. Rievoca il fantasma del Vietnam e riflette in controluce sulle sperequazioni sociali, sul classismo, la rabbia e il senso di frustrazione della working class (il figlio di Mary Lamb è chiamato alle armi perché impossibilitato a pagarsi il college). La malattia mentale, l’elaborazione del lutto e la solitudine sono temi che Payne tratta senza ingolfare e appesantire la storia, mantenendosi in perfetto equilibrio tra dramma e commedia. Paul Giamatti è bravissimo a dare corpo allo scorbutico (dal cuore d’oro) professore Hunham. La sua mimica e l’espressività sono ormai pienamente mature. Ma intensa è anche la performance di Da’Vine Randolph, mater lacrimarum, spezzata e resiliente. Il décor e la patina vintage rendono facile l’adesione e l’empatia. È un film semplice, emozionante, a tratti programmatico The Holdovers, e non dice nulla di nuovo. Riuscendo tuttavia ad essere contemporaneo e universale, rassicurante e non banale.

Fonte – spietati